Vita e morte nelle civiltà antiche

“Portello tombale con motivo a rilievo interpretato come schematizzazione dell’atto sessuale”.





Mi trovo al museo archeologico di Siracusa, e la lastra alle mie spalle è databile tra il XXII e il XV secolo a.C. (Età del Bronzo Antico). Appartiene alla cosiddetta cultura di Castelluccio, che è una località tra Noto e Palazzolo Acreide, sempre in provincia di Siracusa.

Il fascino di opere come questa non è dovuto soltanto alla datazione così antica, né alle abilità artistiche di chi ci ha preceduto quattro millenni fa e - a ben guardare - è stato emulato da grandi artisti del primo Novecento. A mio avviso, il fascino più grande e misterioso risiede nell’accoppiare il tema della morte a quello della vita in modo tanto perentorio e assoluto, prima ancora dei miti greci di Eros e Thanatos (non esattamente secondo l’interpretazione di Freud), degli insegnamenti di Cristo, e di ogni speculazione filosofica che ha attraversato i secoli, dalla scolastica medievale a esistenzialismo e psicoanalisi.

Tre quarti di ogni museo archeologico non esisterebbero se le civiltà antiche non avessero tramandato l’arte attraverso le opere funerarie e il profondo rispetto per i defunti, spesso lasciando sul luogo dell’inumazione splendidi artefatti come monete, bracciali, fibule, e decorando le stele sepolcrali, urne, pithoi con rilievi e illustrazioni… Viene in mente il capolavoro di John Keats, “Ode su un’urna greca”, proprio a ricordare come gli antichi abbiano lasciato ai posteri delle tracce artistiche in grado di emozionare i moderni e i contemporanei.

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