La sesta puntata di "Scrittori in fuga" ci fa incontrare Stefano Magni, originario di Udine, accademico e docente di letteratura italiana moderna e contemporanea. Il dialogo interculturale si manifesta nel pensiero di Magni oscillando tra i concetti di integrazione e identità, di cui il viaggio diventa lo spunto e il pretesto. Oltre alla passione per la letteratura e la storia contemporanea, anche il tango, come forma artistica e patrimonio culturale, diventa in una delle sue opere un tema narrativo.
In quale paese risiedi attualmente e da quanto tempo vivi lì?
Vivo in Francia dal 2000. Ci sono arrivato il primo gennaio del 2000, facile da ricordare, con una borsa di studio, e poi ci sono restato, anche se mi sono spostato tra diverse città, da Parigi al Sud.
Perché hai deciso di trasferirti?
Mi piaceva il lavoro universitario ed erano gli anni della grande crisi del sistema accademico italiano. Avevo anche voglia di fare un’esperienza all’estero, viaggiare, vivere in altri luoghi e in contesti diversi. Anzi, non mi sento stabilito nemmeno ora. Partirei volentieri per un’altra esperienza in un altro paese. Sento che l’abitare per lunghi periodi in paesi diversi è una necessità per la crescita individuale.
Cosa ti manca dell'Italia?
All’inizio, l’Italia mi mancava molto di più. Mi mancavano la famiglia, gli amici, le montagne (sono friulano). Ho sofferto molto la lontananza dalle montagne su cui ero abituato ad andare a camminare. Poi c’è un’età in cui si formano quelle amicizie che restano per sempre, ed è stato difficile abituarsi ad essere fuori dal gruppo.
C’è infine un livello di risposta più complesso. Riguarda la percezione di te che hanno gli altri. Nella provincia ci si conosce e riconosce. Sai distinguere i tipi, sai soppesare il valore di una persona. In provincia sei uno del branco e c’è una sorta di stima, per l’odore che ti porti addosso, come l’ape quando rientra nell’alveare è riconosciuta ed accettata dalle altre perché ha l’odore di quella famiglia di api. Questo ha lati piacevoli. In provincia hai più facilmente uno statuto. All’estero devi costantemente provare chi sei e sapere allo stesso tempo che ti stanno giudicando e osservando. Ciò può essere fastidioso, ma ti spinge a dare sempre il massimo. Pensa ai viaggi. Vivendo all’estero passiamo molte frontiere. Avrai notato che quando arrivi a in un aeroporto, il poliziotto italiano ti riconosce al fiuto, mentre all’estero ti fermano per un controllo accurato passando e ripassando il tuo documento sotto tutte le macchine che hanno a disposizione e valutandoti come un possibile pericolo. Si tratta di un fenomeno riproducibile a tutti i livelli: per la strada, nel lavoro, al supermercato. Può essere fastidioso e pesante, ma ti spinge a dare sempre il meglio di te, mentre magari, a casa tua, ti rilasseresti nella tranquillità della nicchia di conoscenti. Questo mi lega alla domanda seguente, ovvero, non so se la tranquillità del branco mi manca oppure no. Ma è un dato di fatto, all’estero devi dare di più.
Cosa invece non ti manca affatto?
La provincialità acuita da un’ondata politica conservatrice. Ora, quando rientro, basta salire in treno, andare per la strada ed è facile assistere ad episodi di razzismo: persone che non vogliono che qualcuno “differente” si sieda vicino a loro, cose simili. Non mi piace la chiusura mentale di chi non è vissuto in un altro paese, un’esperienza formativa indispensabile nell’educazione di ognuno.
Di cosa parlano i due libri più recenti che hai pubblicato in Italia?
Parlo dei romanzi, perché pubblico anche libri scientifici, universitari. Mi concentro solo sull’ultimo che si collega con quello che stavo dicendo. Preferisco parlarne un po’ più a lungo, invece di presentarne due. Si intitola Il Pentacolo. Ragiona sui cinque elementi che compongono questo simbolo sacro, energetico e esoterico. È un romanzo storico in cui analizzo la ripetizione degli eventi, prendendo come esempi l’800 e il ‘900.
In particolare, sviluppo le teorie emerse nell’800 (dal nazionalismo, al comunismo, all’esoterismo) e ne leggo la proiezione nel XX secolo, attraverso la vita di un migrante friulano ipoteticamente nato a Aigues Mortes, nel Sud della Francia, nel 1893, durante la famigerata caccia allo straniero in cui ci furono diversi morti. In risposta, il ragazzo cresce nell’orgoglio patriottico che si sviluppa in particolare quando il fascismo gli offre l’opportunità di esibire la sua appartenenza nazionale. Diventa un picchiatore del regime e, grazie alla sua esperienza personale, compie delle missioni in Francia. Ma è anche un giramondo che vive di espedienti, perché non ha molta voglia di lavorare.

Preciso che nelle mie ricerche scientifiche degli ultimi anni mi sono occupato molto degli intellettuali della prima metà del XX secolo, dell’emigrazione politica, dell’impegno all’estero durante il fascismo. Il libro è un condensato di dati oggettivi della microstoria, una riscrittura romanzata di episodi della cronaca della prima metà del XX secolo. Il periodo coperto è quello, ma il romanzo si chiude su una delle più grandi tragedie della mia terra, la catastrofe della diga del Vajont, avvenuta nel 1963. Il romanzo ripercorre così 70 anni di vita del protagonista, parlando dell’emigrazione italiana, delle due guerre mondiali, del fascismo, delle deportazioni nei campi di concentramento.
La storia parte a ritroso, con la ricerca che Primo Degano fa di suo nonno anarchico, misteriosamente scomparso, pare seguendo le tracce di un santone che, ad inizio secolo, passò realmente in Europa, annunciando, tra le altre cose, la futura Prima Guerra mondiale.
Il romanzo presenta una ricerca, un viaggio personale, storico, filosofico.
Insomma, Il Pentacolo affronta cinque percorsi. Il primo, il più evidente, racconta la vita di un uomo, fino ai suoi settantanni. Il secondo percorre l’Europa, attraversando la Francia, la Germania e l’Italia, per approdare alla fine al Friuli, patria d’origine, regione martoriata dalle due guerre mondiali, e infine dalla tragedia del Vajont. Il terzo incrocia la Storia del XX secolo. Il quarto esplora gli elementi esoterici del pentacolo che sono le tappe della vita di un individuo e allo stesso tempo le fasi della Storia del continente e dell’umanità. Il quinto percorso risulta il più ambizioso, concettualizzando la ripetizione della Storia, attraverso l’analisi degli eventi.
In che modo la tua esperienza di vita all'estero ha influenzato la tua scrittura?
Vivendo all’estero, la questione dell’integrazione è sempre centrale nella mia vita. Il Pentacolo, in fondo, parla di mancata integrazione.
Ci sono temi specifici legati alla tua esperienza di espatriato che ami esplorare nei tuoi lavori?
Parlando di temi più leggeri, gli altri due romanzi sono legati alle mie esperienze di vita all’estero. Uno è centrato sul tango argentino, che ho cominciato a ballare a Parigi, proprio nel 2000, e l’altro è una storia ispirata alle famiglie della Parigi-bene che frequentavo quando davo, parallelamente ai miei studi, corsi privati di italiano.
Quali sono le principali sfide che hai affrontato come scrittore italiano all'estero?
Recentemente il mio primo romanzo, Despedida, è stato tradotto in francese. È stato strano confrontarsi con il mondo editoriale e con la promozione in Francia. Una sfida.

Quali sfide hai incontrato nel promuovere i tuoi libri nel mercato italiano mentre vivi all'estero?
Ho rinunciato a un contratto interessante perché la casa editrice pretendeva una presenza fisica in Italia (per fiere del libro, presentazioni) che non sarei riuscito a rendere compatibile con il mio lavoro e con la mia vita privata. Ci penso ancora, stavamo facendo l’editing del libro, contratto firmato con onestissima percentuale di guadagni, e ho deciso che sarebbe stato troppo faticoso per me.
Ho preferito scegliere un piccolo editore – di qualità, che mi rapisce ogni volta che rientro per trovare la mia famiglia – ma che capisce la mia situazione e non chiede ulteriori viaggi.
Hai riscontrato resistenze da parte degli editori italiani a causa della tua residenza all'estero? Se sì, come hai affrontato queste difficoltà?
La diffidenza degli editori riguarda appunto la promozione, richiesta esplicitamente, perché i libri – ripetono tutti in coro – non si vendono da soli. Quello che uno può fare in modo semplice stando in Italia, per esempio una presentazione in una libreria cittadina, diventa orribilmente complicato se devi prendere un aereo. Per cui ho deciso di dare una gerarchia alle mie attività e ho privilegiato i viaggi scientifici, i convegni, il rispetto del mio contratto di lavoro accademico, la vita privata. Amo scrivere, non so quanto io ami la parte promozionale dell’editoria.
Puoi parlarci di alcuni dei tuoi progetti attuali o futuri?
Si, sto scrivendo due romanzi. Ogni libro è completamente diverso dal precedente, come stile e come contenuti. Non sono uno scrittore seriale. Sono piuttosto camaleontico. Cambio generi, stile di scrittura, tematiche. Ora sono su due storie più leggere, e ho già in programma i soggetti dei prossimi quattro libri, e mi piace rispettare i miei impegni, anche con me stesso.
Pensi di tornare a vivere in Italia o di trasferirti in un altro paese in futuro?
In questo periodo sono molto legato ai Paesi Bassi, ci andrei a vivere volentieri. In Italia, invece, no, non ci tornerei. Non si torna indietro.
C’è una citazione tratta da un tuo libro che vorresti condividere con noi per chiudere questa intervista?
Citare me stesso mi sembra pacchiano. Nel Pentacolo ho fatto dialogare gli scritti di molti pensatori dell’800, tutti quasi coetanei, facendo incontrare gli opposti: il nazionalismo, il materialismo, l’esoterismo, la religione. Nell’ottica del confronto, farei conversare il fondatore del materialismo storico con quello di una nuova religione:
Chi non conosce la Storia è condannato a riviverla
Karl Marx (1818-1883)
La Terra non è che un solo Paese e il Genere umano i suoi cittadini
Bahá'u'lláh (1817-1892)
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