C’era una volta un romanzo storico acclamato dalla critica, dal pubblico, e insignito di un premio blasonato. Poi lo vai a leggere e di storico non ha molto, perché le vicende e le teste dei personaggi sono quelle di adesso, solo che a questi personaggi vengono fatti indossare abiti d’epoca. Siamo in pieno nazifascismo. In una famiglia di tradizioni cattoliche, il padre e la madre leggono dall’ambone tutte le domeniche. Peccato che siano due poveri villani che non sanno il latino, lingua in cui si celebrava la messa in quel periodo. Per giunta l’autore ignora il fatto che le donne, in quel tempo, non erano affatto ammesse nel presbiterio. Bisognerà aspettare il Concilio Vaticano II per assistere alla messa nelle lingue nazionali e piano piano dare accesso alle donne all’ufficio della lettura dei testi sacri.

Un’altra imprecisione storica è un frutto esotico che non nominerò. Compare in un luogo dove sarà importato per la prima volta una trentina d’anni dopo. Nel momento in cui è ambientato il romanzo impera la guerra e le importazioni sono praticamente impossibili (siamo in chiaro regime di autarchia). Tra l’altro, a rigor di logica, bisognerebbe importare o da terre troppo lontane o da paesi troppo ostili (in ordine sparso: Cina, Nuova Zelanda e Inghilterra, che lo prende da una ex colonia).
Un’altra imprecisione che costella il romanzo riguarda la biologia. La placenta viene scambiata per il sacco amniotico (e non è un errore da poco, perché l’utero e gli organi femminili hanno una valenza particolare nella storia).
Ma non è finita. Le imprecisioni dell’apprezzatissimo romanzo si estendono anche al campo della narratologia, il che è gravissimo. Questa volta non è colpa di qualche consulente incompetente (pure citato nei ringraziamenti) ma è tutto frutto dello scrittore, che dovrebbe sapere come si costruisce una storia, perché quello è il mestiere suo. Intanto vìola il patto implicito con il lettore, saltando ingiustificatamente da una focalizzazione interna a una focalizzazione zero, cioè passa da un narratore che sa solo ciò che vede e sente a un narratore pressoché onnisciente. Non mancano,poi, nemmeno certe contraddizioni banalissime; per esempio, un professore ebreo viene prelevato con la forza e deportato. In quella scena, tra i discenti qualcuno grida il suo nome di battesimo, solo che nessuno studente, in quelle circostanze, in quel luogo e con quelle coordinate culturali, si sarebbe mai permesso di chiamare il proprio insegnante se non per cognome, e preceduto da rispettosissimi epiteti accademici.
La contraddizione più clamorosa, però, riguarda un’altra scena. Abbiamo detto che siamo in periodo nazifascista, il che vuol dire Seconda Guerra mondiale e, di conseguenza, pesanti bombardamenti ai danni della popolazione civile. C’è un personaggio che trova riparo negli scantinati di un palazzo ma una bomba sconquassa tutto, persino le fondamenta del rifugio, uccidendo persone e danneggiando anche i palazzi vicini. Tra questi palazzi vicini c’è l’appartamento del personaggio in questione, il quale dopo che le bombe lo hanno quasi ucciso torna a casa per dare un’occhiata. Tra pareti crollate e macerie, cosa fa questo personaggio? Va a recuperare dalla cristalliera un servizio di porcellana per rivenderselo al mercato nero. Insomma, le bombe provocano danni ingenti in tutto l’isolato ma il servizio di porcellana resta intatto. Completamente inverosimile.
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