Non avevo mai letto Addio alle Armi di Hemingway. Sono rimasto sorpreso da alcune coincidenze. Uno dei personaggi principali si chiama Catherine e il protagonista la chiama spesso usando l’ipocoristico Cat. Per tutti gli altri lei è Catherine ma per l’uomo che la ama Catherine assume un nome diverso. L’uso di un vezzeggiativo, tra intimi, non è certamente una novità, eppure non è così scontato che ciò venga rimarcato in un romanzo. Questa era la prima coincidenza col mio romanzo, dove la protagonista Catherine viene chiamata Cate o Cathy a seconda del grado di intimità. Io, da autore, continuo a chiamarla Catherine, sebbene abbia notato con piacere che molti lettori e recensori prediligano il più intimo Cathy.
La seconda coincidenza sono i dati anagrafici e i connotati. Entrambe le Catherine sono di nazionalità inglese e si somigliano fisicamente, contraddistinguendosi per bellezza e colore (biondo) dei capelli.

Terza coincidenza: la maternità come desiderio combattuto e conflittuale, da contrapporre ad altre priorità che hanno, per scelta o per destino, il sopravvento nelle loro vite.
Una quarta coincidenza riguarda la forte caratterizzazione storica dello sfondo: Hemingway racconta magnificamente le manovre politiche e militari del fronte nord-orientale italiano durante la Prima guerra mondiale; il mio romanzo abbozza più modestamente il conflitto sul caldo scacchiere mediorientale di Cipro tra gli anni ’70 e la metà degli anni 2000.
Ultima coincidenza: l’avvinghiarsi di amore e superstizione. A un certo punto, benché marginalmente, in Addio alle Armi compare una medaglia di Sant’Antonio che viene utilizzata come portafortuna. Di religioso non ha nulla: il suo utilizzo è prettamente superstizioso. Allo stesso modo il mio romanzo introduce elementi della tradizione religiosa che lasciano perplessi per l'uso magico e irrazionale che se ne fa, ed è la stessa protagonista a indossare un bracciale come amuleto e pegno d’amore.
In sé il romanzo di Hemingway mi ha lasciato con delle sensazioni contrastanti. Mi è piaciuto lo stile, fatto di descrizioni incalzanti e ripetitive fino al parossismo, così ridondanti che solo un grande maestro poteva rendere equilibrate e piacevoli. Ho apprezzato i dialoghi, così improbabili e autentici allo stesso tempo, che mettono a nudo fragilità e contraddizioni dei personaggi meglio ancora di quanto possano fare le descrizioni delle loro azioni. La dimensione psicologica di Catherine mi ha invece lasciato perplesso per un cambiamento troppo radicale e repentino, così come la melancolia che ha marcato troppo profondamente ogni istante e ogni pagina con quel suo senso di ineluttabilità.

Giuseppe Raudino
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