Lo Zen e l'arte della perseveranza

 

Lo zen e l'arte della manutenzione della motocicletta è un libro che mi lessi quando ero appena ventenne. Da allora non l'ho più aperto ma continuo a rievocare certe descrizioni affascinanti e certe tematiche un po' ostiche, nelle quali però mi piace abbandonarmi e perdermi.

Questo libro ha tutti gli elementi per essere bocciato dall'editore e snobbato dall'editor. Primo tra tutti, il mestiere del suo autore. Siamo abituati a scrittori perdigiorno e nullafacenti, mantenuti o ereditieri, impiegati all'anagrafe fino al venerdì e seduti alla scrivania il sabato e la domenica; vecchi professori di educazione tecnica in pensione, avvocati e medici col pallino della scrittura, saltimbanchi e giocolieri, attori semifalliti e cantanti sull'orlo di una crisi di afonia... tutti questi sono scrittori plausibili, ma guai, dico guai se uno scrittore è professore universitario, come Robert M. Piersig (autore del libro in questione), Umberto Eco, Antonio Tabucchi, Alessandro Barbero, Antonio Scurati. Gli accademici stanno sulle palle a quasi tutti gli editor, perché sanno di dover interagire con gente pignola e un po` saccente.

Il secondo elemento di disturbo è il tema filosofico. Gli editor odiano lo spiegone. L'editor moderno e alla moda, che si abbevera alla fonte della scrittura creativa Americana (o, peggio ancora, direttamente alle scuole di Hollywood) aborre la spiegazione, alla quale tra l’altro i docenti universitari indulgono per innata tendenza. L’editor moderno è invece per il principio dello “show, don’t tell” (da pronunciarsi “sciodontèl”), ovvero per la supremazia dell’azione sulla riflessione, specialmente se la riflessione è troppo intrisa di filosofia.

Terzo motivo che facilita il rigetto automatico di questo romanzo: il titolo. A chi può mai interessare un romanzo che includa nel titolo la manutenzione della motocicletta? Fosse stato un manuale per le riparazioni meccaniche magari… Seconda pecca del titolo: il combinare cose lontanissime tra loro, lo zen con la manutenzione della moto, e la praticissima manutenzione con l’arte. Per concludere, sempre parlando del titolo, come si può accettare un titolo così lungo? Nove parole inclusi gli articoli (in inglese sono “solo” sette parole, ma lì hanno barato evitando due proposizioni che introducevano il complemento di specificazione con un trucco sintattico, cioè invertendo l’ordine di due sostantivi).

Quarto motivo per un fallimento aprioristico: il genere. Abbiamo detto che è un romanzo filosofico, ma è, ancora peggio, un romanzo di viaggio. Difficilmente i romanzi di viaggio (come i gialli) diventano capolavori di alta letteratura. E questo è un pregiudizio che va oltre l’editor medio e contagia anche il grande pubblico.

Insomma, c’erano tutti gli ingredienti per fallire, ma Piersig che ha fatto? Ha inviato 122 lettere ad altrettanti editori. Tutte lettere uguali. Spam puro. 122 lettere  per provare a pubblicare il suo manoscritto. Era un povero esordiente e alla fine solo uno, con tanta fatica, accettò (William Morrow). Ma alla fine, hanno avuto torto gli altri 121 editori, perché il libro è e rimane un capolavoro.

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